È rinata al Castello di Lerici la Byromania! Merito della mostra “Lord Byron nel Golfo dei Poeti”, promossa dal Comune di Lerici e dal Premio Lerici Pea e appena inaugurata è visitabile fino al 31 ottobre. Nelle sale alla sommità del castello, dai cui terrazzi si gode una vista mozzafiato da levante a ponente, è possibile ammirare i due busti provenienti dagli Uffizi, scolpiti dallo scultore ottocentesco Lorenzo Bartolini, che raffigurano sia Byron che la sua affascinante amante, la Contessa Teresa Gamba Guiccioli. Ma soprattutto, sono esposti 12 preziosi oggetti legati alla vita del poeta, provenienti dalla collezione privata del Professor Vincenzo Patanè.
Tra questi si trovano una litografia della stanza del poeta a Palazzo Mocenigo, un busto vittoriano in porcellana Parian, rare edizioni delle sue opere, tra cui la prima di Poems by Lord Byron (London, John Murray, 1816), e un delizioso gioco dell’oca le cui pedine raffigurano il busto del poeta inglese.
Ma cos’è la Byromania? Ce lo spiega proprio il Prof. Patanè nella trascrizione del suo intervento all’inaugurazione della mostra, insieme al Prof. Bacigalupo:

“…L’idea di questa mostra lericina è nata all’inizio dell’anno. Sono un collezionista di materiale byroniano, possiedo oltre 200 pezzi, alcuni più rilevanti di altri. Mi è quindi venuto in mente di prestare alcuni di questi oggetti alla mostra su Byron in allestimento, con la curatrice Lucilla Del Santo ne abbiamo selezionati dodici. Cosa c’è dietro questa scelta? Volevamo dimostrare che la cosiddetta “Byromania” esiste ancora oggi.
Il termine fu coniato nel 1812 da colei che sarebbe poi diventata la moglie di Byron, Anne Isabella Milbanke. Byron divenne improvvisamente famoso dopo la pubblicazione dei primi due canti del Child Harold’s Pilgrimage. In una lettera a un amico scrisse: “Mi sono svegliato una mattina e mi sono ritrovato famoso”. Pensate, c’erano file di carrozze vuote davanti a casa sua, con i postiglioni che consegnavano biglietti da visita per invitarlo a salotti o feste. Tutte le donne inglesi sognavano di avere una storia d’amore con Harold, identificando il personaggio del poema con Byron stesso. Qual è stato l’effetto collaterale? La nascita della Byromania.
Il volto di Byron divenne il più famoso del tempo. Credo che, a parte figure politiche come Napoleone, nessuno abbia mai raggiunto una fama così straordinaria prima dell’avvento dei mass media o del cinema. E sapete qual era il segreto? Le stampe. Nel 1792 fu inventata la litografia, e da allora non c’era libro senza illustrazioni. Molte di queste ritraevano Byron, quindi non solo l’aristocrazia e la borghesia, ma persino la piccola borghesia poteva vedere il suo volto.

Questo volto veniva riprodotto su un’incredibile varietà di oggetti: orologi, cucchiaini, servizi da tè e da caffè, scatole da tabacco, posate. Molti di questi oggetti, lo ammetto, sono piuttosto kitsch, ma straordinari perché testimoniano una diffusione eccezionale. Byron era molto attento alla propria immagine, estremamente vanitoso. Dei suoi ritratti – noi ne conosciamo una trentina, ma furono molti di più, molti persi – egli doveva sempre approvare l’esecuzione. Ci teneva a essere ritratto di profilo, ma doveva essere quel profilo, quell’espressione. Nonostante il suo controllo meticoloso, ci furono inevitabilmente riproduzioni non autorizzate, che sfuggirono al suo vaglio.
E così la Byromania si diffuse, tanto che persino la piccola borghesia europea poteva appendere un ritratto di Byron alle pareti di casa. Quel ritratto poteva essere più o meno realistico, ma il mito si diffondeva.
Oggi, se andate a Londra, troverete negozi dedicati ai memorabilia reali, ma all’epoca non esisteva nulla di simile. Tuttavia, c’era un circuito più o meno visibile in cui circolavano immagini di Byron. Questo fenomeno continuò fino alla metà del secolo, quando gli inglesi cominciarono a non sopportare più Byron. Nel 1816, si autoesiliò, stanco delle accuse di incesto, omosessualità, amore libero e sodomia. Tutte accuse fondate, ma naturalmente sgradite. Inoltre, era un personaggio scomodo, soprattutto per il suo atteggiamento nella Camera dei Lord, dove dichiarò che la vita di un operaio valeva quanto quella di un lord, cosa inaccettabile per l’epoca.
Quando Byron se ne andò, nessuno lo rimpiangeva davvero. Tuttavia, morì come eroe nella guerra d’indipendenza greca, e in parte fu riabilitato. Fino alla metà del XIX secolo, la sua fama rimase viva. Molti autori, come Tennyson e le sorelle Brontë, erano byroniani. Dopo il 1850, la sua popolarità diminuì, per poi rinascere all’inizio del XX secolo, grazie alla riscoperta del Don Juan. Il pubblico l’aveva sempre apprezzato, ma i critici lo avevano trascurato.
Nella seconda metà dell’Ottocento, la Byromania si affievolì, ma il mito continuò a vivere. Anche nell’epoca vittoriana si trovavano busti, rilievi, stampe e dipinti a memoria. Negli anni ’50 del Novecento, però, l’interesse per Byron ricominciò a crescere, e oggi è in ottima salute. Un esempio? Nel 1988, per il bicentenario della nascita, ci furono pochissimi eventi in Italia. Ma ora, in occasione del bicentenario della sua morte, io stesso partecipo a 31 incontri solo in Italia. Si parla di Byron più che mai.
Tra i dodici oggetti che ho prestato per questa mostra, insieme a Lucilla del Santo, c’è un delizioso gioco dell’oca greco sulla rivoluzione greca, con pedine che sono piccoli busti di Byron. Inoltre, c’è un rilievo che ho acquistato a Missolungi, di scarso valore artistico, ma che testimonia quanto Byron sia ancora una figura importante per la cultura greca. Molti greci portano il nome Byron, in suo onore. Anche se non poté vedere l’indipendenza della Grecia, il suo contributo fu fondamentale.
Possiamo dire che, in termini ovviamente diversi dall’Ottocento, oggi esiste una nuova Byromania. In mostra troverete, ad esempio, due busti di Lorenzo Bartolini, uno di Byron e uno di Teresa Guiccioli.
E ora, un’ultima nota sulle opere di Byron. Come ha detto giustamente il professor Bacigalupo, è difficile trovare una buona traduzione italiana del Don Juan. Molte edizioni saltano interi passaggi. Lo stesso vale per il Child Harold: l’ultima buona traduzione è del 1927. Di altre opere, come il Manfred, esistono più versioni. Ma se qualcuno mi chiedesse cosa leggere per avvicinarsi a Byron, ammetto che le traduzioni italiane non sono molte, e purtroppo mancano proprio i due grandi capolavori.
Detto questo, è meraviglioso che ci sia una mostra a Lerici. Certo, i quattro giorni che Byron trascorse qui non furono tra i migliori: stava male, e in una gara di nuoto perse contro il suo amico Treoni. Tuttavia, anche se non passò giorni felici a Lerici, noi lo celebriamo comunque.”
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