Ven 25 Apr 2025

Un dialogo con Alfredo Bianchi Scalzi: memoria, Liguria e il senso della vita

Nei giorni scorsi la partecipata lettera di Alfredo Bianchi Scalzi sul tema del Male e dell’esistenza di Dio ha catalizzato l’attenzione di molti. I numerosi commenti FB hanno evidenziato varie interpretazioni anche contrapposte, frutto di pensiero libero e dialogo rispettoso. Abbiamo posto all’Autore alcune domande e le sue risposte fanno capire quanto il rapporto fra generazioni possa tradursi in fonte di conoscenza per i giovani e in antidoto contro la solitudine per gli anziani.

Quale effetto ha avuto su di Lei questa reazione così animata da parte dei lettori?

Gentile professoressa Vigo, desidero innanzi tutto ringraziare Lei per aver pubblicato sul magazine online SpeziaMirror le mie considerazioni su Dio e il problema del Male nel mondo. Confesso di essere stupito per l’inaspettato numero di lettori che hanno voluto contribuire con i loro commenti a una libera e civile discussione sui difficili temi da me proposti, indipendentemente dalla loro personale posizione di credenti religiosi o di atei. Ciò dimostra che la nostra società non è poi così arida e superficiale come spesso appare. Rinnovo di cuore il mio ringraziamento a Paola Commissati Bellotti, Ettore Fobo con il suo cenacolo poetico, Matteo Nerbi, Sergio Giovannetti, Manuela Seletti, Casa Editrice Il filo di Arianna di Erika Pisacco, Barbara Trivelli, Rosanna Carletti, Catia Cidale, Jenny Santagati, Claudio G. Pompei, Francesca Francinella, Serena Cortinovi con Flavio Sasso, Marta Riotti, Giovanni Ronzoni, Danilo Francescano, Roberto Caracci, Flavio Flavus Provini, Stefania Contardi, Sergio Benedetto Sabetta. Ringrazio naturalmente anche tutti i lettori che hanno espresso apprezzamento con un “mi piace”.

Perché in quasi tutte le Sue 11 opere, molte delle quali pubblicate dalla casa editrice Terre Sommerse di Roma, il legame con la Liguria, Dagli aridi scogli – titolo del Suo ultimo libro – è così esclusivo?

Genova è la città in cui sono nato e che dovetti dolorosamente abbandonare all’età di 5 anni a causa della guerra. Il suo ricordo, e quello dell’intera Liguria dove, da ragazzo, trascorsi delle meravigliose estati camogliesi, è radicato nel mio cuore come dimostrano molti dei libri da me pubblicati. L’ultimo di essi, Dagli aridi scogli del 2022, ha ottenuto il patrocinio della Regione. In esso raccolgo una piccola rassegna di curiosità e dettagli storici regionali meno noti al grande pubblico. Ormai sono avanti negli anni e viaggio poco, ma in passato, ogni qualvolta potevo, tornavo a respirare una boccata d’aria nativa e, con grande commozione, ho potuto anche rivedere la prima casa della mia vita grazie all’ospitalità degli attuali abitanti. Si trova sulle alture della città, alle spalle del castello d’Albertis, e dalle finestre lo sguardo poteva spaziare su una digradante fuga di tetti d’ardesia, gronde, cimase, abbaini e logge, fino alla zona occidentale del porto e oltre la diga foranea, di là dalla quale mare e cielo si confondevano Lassù, in quell’età a cavallo tra la fine degli anni Trenta e i primi Quaranta, il traffico e i rumori erano quasi inesistenti. Ciò permetteva di riconoscere a distanza l’ansimare asmatico delle funicolari e la sirena delle navi in entrata o in uscita dallo scalo che aggiravano con larga manovra la diga foranea ed erano visibili a occhio nudo. Su quelle navi mio padre, capitano di Marina, partiva e ciò era molto triste. Ma su quelle stesse navi poi egli tornava, e ciò era fonte di gioia. Anche se allora ero piccolissimo, rammento come in fotografia quelle esperienze. Nel tempo Genova è diventata per me un luogo dell’anima, come scrive di lei il grande poeta Giorgio Caproni, livornese di nascita ma genovese nel cuore. Questo mio amore, tuttavia, non è “esclusivo”: vivo da oltre ottanta anni nella incomparabile Roma che ci accolse a braccia aperte quando vi sfollammo nell’estate del 1943, senza mai farci sentire forestieri. Qui sono diventato adulto, ho studiato, lavorato, messo su famiglia. La capitale d’Italia è ormai la mia seconda città del cuore e sono fiero di potermi considerare anche io un po’ romano.

Lei, baldo ottantaseienne, ancora vivace e dinamico, quale valore assegna alla forza della memoria?

Effettivamente non posso lamentarmi per le ancora buone condizioni fisiche e soprattutto per la non perduta freschezza mentale anche se, purtroppo, ogni tanto perdo dei colpi. Assegno un’importanza altissima alla memoria che mi consente di rivivere momenti anche lontanissimi  nel tempo.  Credo che la mia risposta alla domanda precedente lo dimostri. Forse è un dono naturale o forse dipende anche dalla sfiancante ginnastica mentale a cui venni sottoposto negli anni scolastici, come per tutti gli studenti di allora e come anche Lei, professoressa, ricorda certamente molto bene. Dovevamo imparare a memoria una massa incredibile di nozioni: decine di poesie, brani in prosa, date storiche, i nomi delle capitali mondiali e il numero dei loro abitanti, la sorgente e la lunghezza dei fiumi, l’altezza dei monti… Ricordo ancora perfino le favole di Fedro in latino e provo un intimo piacere nell’evocare con la mente passi dell’Iliade e dell’Odissea o i versi leopardiani e carducciani. Ringrazio quelle fatiche, spesso notturne, e non penso che siano stati sforzi inutili come invece sostengono coloro che criticano gli insegnamenti di allora definendoli sterile nozionismo.

Che cosa sente di esprimere, guardando i processi storici incontrati nei due secoli della Sua vita?

Come già detto, sono nato alla vigilia della 2° guerra mondiale e ho vissuto quegli anni fra le paure dei bombardamenti, che specialmente a Genova erano frequenti, le fughe nei ricoveri, il forzato abbandono della casa natale i lunghi angosciosi silenzi di mio padre combattente
in Africa Orientale e poi prigioniero degli inglesi, il sospirato arrivo della pace e della ricostruzione postbellica. Ho goduto, come tutti gli italiani, di ottanta anni di democratica pace europea nell’ingenua illusione che certe passate brutture fossero state sepolte per sempre. Da qualche tempo, invece, le cose stanno cambiando e fosche nubi si addensano all’orizzonte. Non temo molto per me che ormai ho consumato quasi tutto il tempo assegnatomi dal destino o dalla divina Provvidenza, e non sono terrorizzato dall’idea della morte avendo assimilato il pensiero epicureo che è sciocco temerla perché di fatto noi non la incontreremo mai: finché ci siamo noi non c’è lei e quando c’è lei noi non ci siamo più. Temo però fortemente per i miei figli e nipoti che potrebbero trovarsi ad affrontare rischi terrificanti, assai peggiori di quelli del secolo scorso. Historia docet, dicevano i latini ma, all’atto pratico, tale insegnamento, da Caino in poi, viene ricorrentemente disatteso da una
umanità incosciente e testarda che fabbrica con le sue stesse mani gran parte dei mali del mondo. E qui, La rimando alle riflessioni della mia lettera dalle quali siamo partiti.

Per formazione classica e per esperienza, può dare dei consigli ai giovani di oggi?

Dare consigli non è il mio mestiere anche perché essi, il più delle volte, restano inascoltati. L’ho sperimentato perfino con i miei figli che, in molte cose, hanno fatto di testa loro. Forse è giusto così, perché ognuno deve costruirsi la vita a modo suo, gioendo dei successi e imparando a proprie spese dalle sconfitte. Oltre tutto, nel dare consigli spesso non richiesti, si rischia di scivolare nella banalità, nella ovvietà, nel fastidioso trito e ritrito. Cosa rispondere dunque alla Sua domanda che richiama addirittura la mia formazione classica? Dico ai giovani,
semplicemente, non scegliete negli studi la strada comoda perché sono le salite faticose a rinforzare i polpacci e a permettervi di raggiungere la meta.

Ironico e goliardico, tra gli esilaranti aforismi dei Càrmina Burína (non Burana!) Lei scrive di sé: Del goethiano Werther i dolori / sono per me faccenda superata, / e tuttavia mi turba inalterata / la seduzione dei carnali amori. Passando dall’occhio vispo e birichino all’essenza del sentimento, memore anche degli errori commessi, fornisce una ricetta per dare e ricevere amore?

Consigli… ricetta… Lei, cara professoressa, pretende troppo da me. I versi che cita risalgono al 2018 e nei Càrmina Burína stanno sotto il titolo Ottuagenarie debolezze. Da allora sono trascorsi 7 anni che, alla mia età, valgono il doppio. Quelle seduzioni sono ormai spente del tutto avendo io raggiunto, finalmente, la pace dei sensi. È pur vero che l’occhio vispo e birichino, di cui Lei mi fa spiritosamente omaggio, ha sempre sfarfallato fior da fiore durante la vita, sebbene io avessi una moglie stupenda che tutti mi invidiavano. Disse l’attore Gino Cervi che la più diffusa malattia degli occhi è l’amore a prima vista. Ognuno ha le sue debolezze e riconosco di avere in questo campo molte cose da farmi perdonare. Gli errori commessi stanno lì pietrificati e quasi tutti insanabili, con effetti negativi che permangono nel tempo. Concludo con un’altra citazione, questa volta dello scrittore Valerio Zecchini: Se hai un amore, lascialo libero. Forse uno dei segreti per non sciupare questo sentimento così delicato e così vulnerabile, sta anche nel non comprimere la libertà della persona amata sia essa un figlio o un compagno di vita. Dio stesso, che non aveva alcun bisogno di crearci e lo ha fatto solo per amore, ci lascia liberi di accettarlo o di rifiutarlo. Con questa affermazione apodittica che, in quanto tale, ha valore soltanto per chi crede all’esistenza di un Essere soprannaturale, desidero concludere riallacciandomi al contenuto della mia lettera pubblicata su SpeziaMirror. Rinnovo i ringraziamenti a Lei, gentile professoressa, a SpeziaMirror e a tutti coloro che avranno la voglia e la pazienza di leggere.

Al simpatico Alfredo auguriamo di proseguire il fertile percorso letterario e ci uniamo al giudizio su di lui espresso da Giorgio Caproni in una lettera personale: …aver avuto il piacere di leggere e rileggere più volte la Sua scrittura. By Prof.ssa Marisa Vigo

Il quadro della copertina e quello nell’articolo rappresentano il Porto di Camogli e sono opera della pittrice milanese  Mitti Piantanida

Leggi qui la lettera di Bianchi Scalzi che ha suscitato una così partecipata discussione.

Alfredo Bianchi Scalzi

Alfredo Bianchi Scalzi è nato nel 1938 a Genova, città che dovette abbandonare ancor bambino a causa delle vicende belliche. Trasferitosi con la famiglia a Roma, vi ha compiuto gli studi classici e, in età adulta, il corso di Giurisprudenza presso l’Ateneo “La Sapienza” di Roma con tesi in diritto penale per poi intraprendere la carriera bancaria. Ha pubblicato le raccolte Aghi di pino (Villar Editore, Roma 1967), Questa nostra creta antica (Seledizioni, Bologna 1974), Orme d’acqua (Maremmi Editori, Firenze 2003); per la Terre Sommerse di Roma In limine portus ( 2013), Le ore dell’Acquasola (2015), La luce nera (2016), Càrmina burína e memorie di un succhiainchiostro (2018, con lo pseudonimo di Cardellino Fischiabaz, anagramma integrale di Alfredo Bianchi Scalzi), Estroversi (2019), Viva l’Aradio (2021), Dagli aridi scogli (2022) con il patrocinio della Regione Liguria.  Ha collaborato per alcuni anni al periodico Voce romana diretto dal poeta e storiografo Giorgio Carpaneto e alle riviste Spazio Oltre ed  È tempo di cultura. Si sono occupati del suo percorso poetico fra gli altri: Carlo Martini, Giorgio Carpaneto e, in lettere personali, Giorgio Caproni e Vittorio G. Rossi.      È presente in varie antologie e nel Dizionario dei poeti, curato da Raimondo Venturiello e Annamaria Scavo (edito da “Pagine” di Roma nel 2006) e ha ottenuto riconoscimenti in vari concorsi nazionali e internazionali. Attualmente è in corso di stampa, presso l’editrice Terre Sommerse di Roma, il libro Aforismi e pensieracci ed è in via di completamento l’antologia Stagioni nella quale l’autore raccoglie una selezione delle sue opere sia di versi sia di prose.  Oltre all’attività letteraria,  Bianchi Scalzi si è dedicato, con impegno discontinuo e solo per diletto personale, al canto lirico, inizialmente con il maestro Piervenanzi e poi con i tenori siciliani Pietro Milana e Salvatore Puma. Per alcuni anni ha fatto parte della corale romana Sant’Achille diretta dal maestro Angelo Scettri, cantando in alcuni concerti anche da baritono solista.

Prof.ssa MARISA VIGO nasce e risiede alla Spezia, frequenta il Liceo classico Lorenzo Costa, si laurea nel 1971 in Lettere classiche all’Università di Pisa con una tesi in epigrafia greca, discussa con l’esimio prof. Giuseppe Nenci, ordinario di Storia greca e romana, poi titolare della cattedra di Storia greca alla Scuola Normale. Avvia la sua carriera di docente nelle scuole medie superiori, ricoprendo per anni la funzione di  vicepreside e poi di preside. Come docente sostiene e inaugura una progettualità che unisce conoscenze e competenze, mettendo in contatto gli studenti con le attività produttive del territorio e la sua storia. Prepara convegni e corsi di aggiornamento per docenti, programma l’alternanza scuola-lavoro, riceve l’approvazione della Regione Liguria al corso post-diploma che consente occupazione a un numero selezionato di giovani meritevoli. Consigliere Comunale nel 1993 nella lista civica Democrazia e Solidarietà del dott. Renzo Tonelli, fondatore del Centro Vita per la prevenzione e la cura dei tumori. Dal 2013 – 2024: per tre anni giurata e per nove presidente di giuria del Premio Letterario Internazionale Città di Sarzana. Critica letteraria, redige prefazioni e recensioni a opere di poesia, narrativa e saggistica.

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